
“Catastrofe” è il significato letterale della parola ‘nakba’. La catastrofe è la pulizia etnica dalle cui ceneri è nato 77 anni fa lo Stato di Israele e che è continuata, nel corso dei decenni, con vari mezzi - genocidio, sfollamento forzato della popolazione, colonizzazione, occupazione. È questo il senso della “Nakba in corso”.
Sebbene il termine si riferisca comunemente ai crimini delle milizie sioniste, allo sfollamento forzato di oltre 700.000 palestinesi e alla distruzione di oltre 500 villaggi, soprattutto in Galilea, tra il 1947 e il 1949, lo stesso processo lo ritroviamo in atto anche all’indomani della guerra del giugno 1967 - da qui la nostra scelta di illustrare questo testo con una foto che risale a quel periodo - ma anche in ogni fase in cui Israele ha continuato a rosicchiare il territorio palestinese e a negare, sempre di più, alla popolazione palestinese sia il diritto di vivere sia il diritto all’autodeterminazione.
Collocato così nel lungo arco temporale di una storia il cui filo conduttore è il colonialismo di insediamento, non è più possibile credere che il genocidio in corso a Gaza rientri in una possibile “risposta” al 7 ottobre 2023. L’offensiva contro Hamas, il suo presunto annientamento e la questione degli ostaggi non sono altro che volgari foglie di fico con cui il governo israeliano di estrema destra cerca di nascondere – senza riuscirci - la pulizia etnica che sta portando avanti, sistematicamente, impunemente e con la benedizione delle potenze occidentali, di cui rimane un partner privilegiato, sia nella Striscia di Gaza che in Cisgiordania, senza dimenticare la colonizzazione di Gerusalemme, che si intensifica di giorno in giorno.
Di fronte alle dimensioni della catastrofe, Orient XXI ha raccolto una serie di articoli pubblicati negli ultimi anni che documentano la continuità di questo processo nel tempo. Fino ai giorni nostri.